Cacerolata femminista tra la movida

caceSabato 5 novembre, lungo le vie di San Salvario nonostante la pioggia, sono sfilate diverse realtà, gruppi individualità che insieme stanno tracciando le tappe di avvicinamento alla manifestazione del 26 novembre a Roma. NonUnaDiMeno si batte contro la violenza i genere. Una Casserolata rumorosa, l’affissione di strisce con i contenuti della lotta, la narrazione delle storie che segnano il nostro quotidiano, ha caratterizzato il passaggio per le vie del quartiere della movida, per rompere il silenzio e l’indifferenza, per sostenere un percorso di libertà, mutuo aiuto e autodifesa fuori e contro chi vuole le donne inchiodate nello stereotipo della vittima.
Chi si è ritrovat* in Piazza Madama Cristina lo ha fatto con lo stesso spirito delle donne argentine, spagnole, polacche, kurde, di tutte le donne in lotta provenienti da tutto il mondo, e che quotidianamente sopravvivono alla violenza misogina, lesbofobica, razzista e transfobica costruendo così percorsi di autonomia autodifesa, lotta.
L’8 novembre si è svolta un’assemblea alla Cavallerizza Reale
Di seguito uno dei volantini distribuiti in piazza
Sentieri di libertà
Libertà, uguaglianza, solidarietà. I tre principi che costituiscono la modernità, rompendo con la gerarchia che modellava l’ordine formale del mondo hanno il loro lato oscuro, un’ombra lunga fatta di esclusione, discriminazione, violenza.
Tanta parte dell’umanità resta(va) fuori dal loro ombrello protettivo: poveri, donne, omosessuali, bambini. L’universalità di questi principi, formalmente neutra, era modellata sul maschio adulto, benestante, eterosessuale. Il resto era margine. Chi non era pienamente umano non poteva certo aspirare alle libertà degli uomini.
Una libertà soggetta a norma, regolata, imbrigliata, incasellata. La cultura dominante ne determina le possibilità, le leggi dello Stato ne fissano limiti e condizioni.
Le nonne delle ragazze di oggi passavano dalla potestà paterna a quella maritale: le regole del matrimonio le mantenevano minorenni a vita.
Le donne stuprate, sino al 5 settembre del 1981, potevano sottrarsi alla vergogna ed essere riammesse nel consesso sociale, se accettavano di sposare il proprio stupratore. Una violenza più feroce di quella già subita. Se una donna era uccisa per motivi di “onore”, questa era una potente attenuante. Uccidere per punire le donne infedeli era considerato giusto.
Sono passati 34 anni da quando quelle norme vennero cancellate dal codice penale. Poco prima era stato legalizzato il divorzio e depenalizzato l’aborto.
Sulla strada della libertà femminile e – con essa – quella di tutt* sono stati fatti tanti passi. Purtroppo non tutti in avanti.
Le lotte delle donne hanno cancellato tante servitù. Ma ne paghiamo, ogni giorno, il prezzo.
La violenza maschile sulle donne è un fatto quotidiano, che i media ci raccontano come rottura momentanea della normalità. Raptus di follia, eccessi di sentimento nascondono sotto l’ombrello della patologia una violenza che esprime a pieno la tensione diffusa a riaffermare l’ordine patriarcale. La casa, il “privato”, è il luogo dove si consumano la maggior parte delle violenze e delle uccisioni. Le donne libere vengono picchiate, stuprate e ammazzate per affermare il potere maschile, per riprendere con la forza il controllo sui loro corpi e sulle loro menti.
La narrazione prevalente sui media è falsa, perché nasconde la realtà cruda della violenza maschile sulle donne. Non solo. Trasforma le donne in vittime da tutelare, ottenendo l’effetto paradossale ma non tanto, di rinforzare l’opinione che le donne siano intrinsecamente deboli.
La violenza esplicita è solo la punta dell’iceberg. Il patriarcato, sconfitto ma non in rotta, riemerge in maniere più subdole.
Il prezzo dell’emancipazione femminile è stato anche l’adeguamento all’universale, che resta saldamente maschile ed eterosessuale. Lo scarto, la differenza femminile, in tutta l’ambiguità di un percorso identitario segnato da una schiavitù anche volontaria, finisce frantumata, dispersa, illeggibile, se non nel ri-adeguamento ad un ruolo di cura, sostitutivo dei servizi negati e cancellati negli anni.
Lo spazio della sperimentazione, della messa in gioco dei percorsi identitari, tanto radicati nella cultura, da parere quasi «naturali», spesso si estingue, polverizzato dalle tante cazzutissime donne in divisa, dalle manager in carriera, dalle femministe che inventano le gerarchie femminili per favorire operazioni di lobbing.
Lo scarto femminile non è iscritto nella natura ma nemmeno nella cultura, è solo una possibilità, la possibilità che ha sempre chi si libera: cogliere le radici soggettive ed oggettive della dominazione per reciderle inventando nuovi percorsi.
Contro la normalizzazione delle nostre identità erranti il femminismo libertario si svincola dalla mera rivendicazione paritaria, per mettere in gioco una scommessa dalla posta molto alta.
Miliardi di percorsi individuali, che attraversano i generi, costituiscono l’unico universale che ci contenga tutt*, quello delle differenze.
Vogliamo vivere, solcare le nostre strade, con la forza di chi sta intrecciando una rete robusta, capace di combattere la violenza di chi vuole affermare la dominazione patriarcale.
Non abbiamo bisogno di tutele né di tutori, con o senza divisa. La nostra forza è nella solidarietà e nel mutuo appoggio.
Il percorso di autonomia individuale lo costruiamo nella sottrazione conflittuale dalle regole sociali imposte dallo Stato e dal capitalismo.
Siamo qui per spezzare l’ordine. Morale, sociale, economico.
Siamo qui per frantumare la gerarchia, per esserci, ciascun* a proprio modo.
Anarchiche contro la violenza di genere
Ci trovate ogni giovedì alle 19 presso la FAT in corso Palermo 46
tratto da Anarres

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